Grafica
Prima personale del febbraio 1983 nella galleria "La Bacheca", Cagliari. Presentazione di Luigi Mazzarelli
"Grafica", Bruno Pittau - 1983
La matita scava solchi ombrosi su uno spazio bianco, immenso; indugia ossessiva in concrezioni lenticolari da enigma e riprende instancabile il cammino dominata da un’irrefrenabile arsura di bianco. È un crescere lento e inarrestabile di corpo germinato che invade ogni angolo vuoto, ogni minuto recesso per deporvi larve di segni brulicanti di vita che traboccano, si depongono uno sulle membra dell’altro ed esplodono infine su tutto il campo.
Difficile resistere a questo perentorio prorompere di vita ripetuto in mille eventi con una pratica quotidiana infaticabile, addirittura maniacale.
Difficile non essere trascinati nel flusso della materia col piacere palpabile di una tecnica talvolta perfetta a decodificare simboli annidati dietro simboli nell’intrico profondo dei segni e ancora simboli nel gioco dei rimandi delle metafore.
La padronanza del mestiere di questo giovane grafico che si presenta per la prima volta al pubblico cagliaritano, senza le facili coperture che talvolta consente il linguaggio dell’avanguardia, è esibita con opere in alcuni casi indiscutibili. Sono espressioni autentiche – di buon livello – di quel settore «sommerso» della produzione artistica che nella nostra terra, più che altrove, sono penalizzate più dal disinteresse istituzionale e da un provinciale esclusivismo elitario che discrimina le «minorità», che dalla mancanza di spazi espositivi.
Certo, non mancano i limiti. Soprattutto nei disegni più giovanili dove sono ancora visibili le influenze dei maestri, alcune asperità stilistiche e un certo impaccio compositivo. Mentre la cultura che traspare dalle opere è testimonianza autentica della campagna che vive sulla carta patinata l’eco degli eventi che accadono nelle cittadelle.
Bruno Pittau espone una serie di disegni su un arco di tempo relativamente ampio (1978-1983). È un lavoro ostinato, paziente, interrotto e ripreso più volte che si evolve necessariamente in tempi lunghi per la delirante, ultragotica ridondanza dei segni entro uno spazio in horror vacui. L’autore è cresciuto fisiologicamente con i suoi disegni, anno dopo anno con vita parallela. Il tempo in essi è dimensione reale. Perciò la «lettura» non può essere immediata e obbliga a frequenti contrattempi nel riprendere il percorso inverso che va dal macrocosmo dell’insieme al microcosmo del «fare».
Le opere esposte vanno dai primi lavori articolati con l’espansione protoplasmatica a raggiera dei segni e delle figure sulle direttrici interne del campo che ricordano in qualche modo la dimensione underground americana degli anni ’70, alla più distesa spazialità dei lavori recenti che includono nel progetto zone di sosta allo sguardo esausto.
Qui l’intreccio biomorfico delle figure surreali viene intervallato ma anche esaltato per contrasto da complesse metamorfosi ottico-percettive alla Escher, secondo canoni stilistici a suo tempo sperimentati dalla cosiddetta neo-figurazione e frequentissimi nella grafica internazionale dei fumetti d’alto livello artistico.
L’immagine fotografica sbiadita alla Rauschemberg è la radice da cui spesso attinge l’arte di Pittau.
In alcuni disegni la matita riporta fedelmente vecchie foto, formato tessera, di personaggi storici del Blues, già riprodotte nel clichè di stampa di qualche rotocalco e probabilmente dimenticati all’origine in un portafoglio smesso in soffitta. Imitandone manualmente tutti passaggi da una dimensione all’altra, col relativo salto contestuale, l’autore rivela una straordinaria capacità di rappresentare la «patina» di eventi diacronici e la loro fenomenologia.
L’apparenza slitta da un piano all’altro acquistando il carattere di cosa lontana che si riflette sulla prospettiva infinita della metafora non riuscendo tuttavia a travalicare la barriera del tempo se non come ricordo «stordito».
Nel presente invece oggetti di aggressione domestica (forbici, coltelli, cavatappi) galleggiano come astronavi, irriducibili nella loro corporeità metallica.
Un presente indurito nella res e un passato stropicciato di carta da rotocalco!
Niente meglio delle superbe matite di Pittau possono esprimere questa dimensione di rimprovero per la perdita del sogno della vecchia America.
Luigi Mazzarelli